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Data: 27/10/2022
Testata Giornalistica: IL CENTRO
    IL CENTRO

In pensione anche a 61 anni con la Quota 102 flessibile. L'uscita dal lavoro è al primo posto dell'agenda del nuovo esecutivo: ecco lo scenario

L'AQUILA Sulle pensioni, il Governo Meloni riparte da Quota 102. Quello della riforma del sistema pensionistico è uno dei primi dossier sul tavolo, per evitare il ritorno, dal primo gennaio 2023, alla legge Fornero. E, di conseguenza, al limite minimo dei 67 anni di età per accedere alla pensione. Sul tavolo ci sono quattro diverse opzioni sull'uscita anticipata, ma il punto di partenza resta Quota 102, con un meccanismo più flessibile. Verso la conferma di un anno anche Opzione donna e Ape sociale. Meno probabile l'adozione di Quota 41.

I PUNTI FERMI. Si parte dalle ultime norme in scadenza il 31 dicembre prossimo: Quota 102, Opzione donna e Ape sociale. Quota 102 è stata la soluzione individuata dal governo Draghi, con una sperimentazione annuale, per superare Quota 100. La misura finora fissa i requisiti del pensionamento anticipato a 64 anni d'età e 38 di contributi. Opzione donna, invece, consente di andare in pensione con 58 anni di età, che salgono a 59 per le lavoratrici autonome, e con 35 anni di contributi, che devono essere stati raggiunti nel 2021. Infine, l'Ape sociale è un'indennità che consente, in attesa di maturare il requisito di vecchiaia, di uscire dal lavoro a 63 anni e, a seconda dei casi, con 30 o 36 anni di versamenti.

QUOTA 102 FLESSIBILE. È la strada più percorribile, al momento. Una correzione di Quota 102 che renda l'uscita dal mondo del lavoro più flessibile.Prevede il pensionamento tra i 61 e i 66 anni, purché la somma con i contributi faccia comunque 102. Per questo si parla di una Quota 102 flessibile. Finora, come si diceva, la misura permetteva di andare in pensione solo con 64 anni più 38 di contributi: nella nuova versione sarebbe possibile anche con tutte le combinazioni fra 61 e 66 anni di età e fra 35 e 41 anni di contributi. Una soluzione a metà strada, in grado di garantire un compromesso per il prepensionamento e scongiurare il ritorno alla legge Fornero, senza compromettere l'equilibrio dei conti pubblici.

OPZIONE DONNA E APE SOCIALE. Un altro intervento possibile è la proroga, con una correzione, della cosiddetta "Opzione donna", che prevede al momento la pensione a 58 anni (59 per le lavoratrici autonome) con 35 di contribuzione. Un meccanismo vincolato, però, al ricalcolo contributivo dell'assegno, che comporta, di conseguenza, una riduzione media dell'importo del 20- 25%. Sembra però tramontata l'ipotesi di una possibile estensione anche agli uomini, partendo dai 62 anni di età come soglia minima. Ma nulla è perduto perché, come si diceva prima, tra le formule di pensionamento possibili, che dovrebbero rientrare nella legge di Bilancio 2023, c'è anche la nuova Quota 102 flessibile (età + contributi) per la pensione anticipata di 470mila lavoratori tra 61 e 66 anni: in questo caso ci sarebbe una sorta di mediazione tra l'Opzione Uomo, troppo penalizzante come assegno pensionistico, e Quota 41 per tutti.Proroga in vista anche per l'Ape sociale, un'indennità a carico dello Stato, erogata dall'Inps, entro dei limiti di spesa, a soggetti in determinate condizioni previste dalla legge o che fanno lavori usuranti e che abbiano compiuto almeno 63 anni di età. Gli stessi non devono essere già titolari di pensione diretta in Italia o all'estero. L'Ape sociale viene corrisposta, su domanda, fino al raggiungimento dell'età prevista per la pensione di vecchiaia: permette di uscire a 63 anni d'età e, a seconda dei casi, 30 o 36 anni di versamenti. La misura è stata introdotta nel 2017 e rinnovata fino al 31 dicembre 2022.

QUOTA 41. In quest'ultimo caso si parla di una quota relativa solo agli anni di contributi. L'ipotesi originale prevedeva infatti il requisito dei 41 anni di contributi, a prescindere dall'età. I costi elevati, e l'impossibilità di sostenerli in questa fase, hanno suggerito una modifica dell'intervento che prevederebbe Quota 41 associata a un requisito anagrafico minimo: 61 o 62 anni di età. Il risultato sarebbe simile a quello di Quota 102 ma molto più penalizzante, in attesa di arrivare progressivamente all'obiettivo finale. Le diverse possibilità al vaglio del Governo servono ad evitare, in attesa di una riforma strutturale delle pensioni che non può trovare corpo entro l'anno visti i tempi ristretti, il ritorno netto alla legge Fornero. Quello della spesa per le pensioni è un tasto delicato. Come si legge nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, approvata dal governo lo scorso 28 settembre, «a partire dal 2010, il rapporto tra spesa pensionistica e Pil, già in crescita negli anni precedenti a causa alla fase acuta della recessione, continua ad aumentare in ragione dell'ulteriore fase di contrazione della crescita». E così, «dal 2019 e fino al 2022, il rapporto tra spesa pensionistica e Pil aumenta, prima repentinamente, raggiungendo un picco pari al 16,9% nel 2020, e poi si riduce nei due anni seguenti, attestandosi al 2022 su un livello pari al 15,7%, mezzo punto percentuale di Pil al di sopra del dato del 2018». Nel 2022 per gli assegni pensionistici si spenderanno 297,4 miliardi di euro, il 15,7% del Pil. Spesa che salirà nel 2023 a 320,8 miliardi, ed è destinata ad aumentare a 338,2 miliardi di euro nel 2024 e a349,8 miliardi di euro nel 2025. In sostanza, con le uscite previdenziali in netto aumento, si restringono gli spazi di finanza pubblica per eventuali nuovi interventi sui prepensionamenti, destinati a evitare il ritorno da gennaio alla legge Fornero in versione integrale.


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