ROMA «L'Italia oggi è in una situazione diversa da marzo». Le scelte compiute nei mesi scorsi «ci consentono al momento, di evitare chiusure generalizzate e diffuse su tutto il territorio nazionale». Parla al Senato, Giuseppe Conte. Invita a limitare gli spostamenti ma oltre a difendere la linea del governo contenuta nel dpcm di domenica sera fa capire che a breve non sono previste altre misure o nuovi dpcm, anche se non esclude possano esserci interventi nelle prossime settimane se non caleranno i positivi. Si va dalla chiusura anticipata degli esercizi pubblici a un lockdown di qualche settimana nazionale (c'è chi ne ipotizza due) per far scendere i contagi, fino al ricorso massiccio alla didattica a distanza a rotazione, quanto meno alle superiori.
LA CORSA Nei corridoi del Ministero della Salute, dove da giorni si invocano con forza interventi più rigorosi, c'è chi commenta: vedremo sabato o domenica se i nervi resteranno altrettanto saldi. Cosa succederà se il ritmo di crescita delle infezioni sarà simile a quello delle ultime settimane? Prendiamo come punto di riferimento la giornata del martedì: ieri sono stati contati 15.199 positivi (inutile dire che non sono mai stati così tanti), 127 decessi e siamo arrivati a 926 pazienti in terapia intensiva; una settimana fa erano stati 7.332, 43 i decessi e c'erano 539 pazienti in terapia intensiva; il martedì di due settimane fa avevano 3.678 nuovi casi, 31 decessi e 337 pazienti in terapia intensiva. Certo, i tamponi eseguiti sono molti di più In sintesi: ogni settimana i nuovi casi raddoppiano, significa a questo ritmo che martedì ci troveremo con 30mila nuovi positivi e almeno 1.200-1.300 pazienti in terapia intensiva. In sintesi: già tra sabato e domenica se l'Italia si troverà oltre 20mila casi in 24 ore, provvedimenti come il lockdown nazionale o la stretta di palestre e piscine potrebbero prenderebbero forza. In questo mare tempesta, inoltre, si aspettano le indicazioni del Comitato tecnico scientifico che però ieri pomeriggio è stato impegnato in una seduta di chiarimento interno, perché la spaccatura di domenica sul parere per palestre e piscine ha lasciato il segno. Per questo ora gli scienziati vogliono un chiarimento anche con il premier Conte, per definire meglio il loro ruolo.
«Non sono ancora andate a regime le disposizioni varate tre giorni fa!», sostengono da palazzo Chigi. Nel presentare le misure era stato lo stesso Conte domenica sera a parlare di «una settimana» prima di vedere i primi effetti delle restrizioni. Ciò non toglie che il governo di fatto spinge le regioni affinché possono procedano in autonomia con provvedimenti restrittivi a seconda dell'andamento del virus. La prima a farlo è stata la Campania, seguita da Piemonte, Lombardia e Lazio con Nicola Zingaretti che ieri ha firmato l'ordinanza che impone il coprifuoco dopo mezzanotte. Ogni presidente ha comunicato le misure che intende adottare al ministero degli Affari Regionali di Francesco Boccia e le coordina con il ministero degli Interni di Luciana Lamorgese e i rispettivi prefetti. Al Viminale ieri si è discusso anche della mobilità fra Regioni, ma ancora non sono state autorizzate chiusure. Oltre ad autorizzare e sostenere questo fai da te regionale Conte non intende andare, almeno per il momento. Una posizione che nel governo non trova tutti concordi anche se nessuno si azzarda, ora, ad esprimere perplessità, mentre l'opposizione attacca e Pier Ferdinando Casini chiede di istituire «un tavolo permanente di maggioranza ed opposizione» dove confrontarsi. Il ministro della Salute Roberto Speranza continua ad essere tra i più preoccupati. A suo sostegno c'è il ministro Dario Franceschini con il collega della Giustizia, Alfonso Bonafede, sempre più convinto della necessità di chiudere. Sul fronte opposto, a sostegno della tesi che occorre «tutelare la salute ma anche l'economia» come ha detto Conte in Aula, i ministri Patuanelli e Gualtieri e anche il titolare dello Sport Spadafora che continua a difendere le palestre e i centri sportivi da possibili chiusure.
«Servono nuove strette in tutta Italia L'impennata? C'entra anche la scuola. Intervista a Massimo Galli
«Vedrà, non ci saranno alternative. Dovremo arrivare al coprifuoco in tutta Italia».
Il professor Massimo Galli, direttore di Malattie Infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, l'altro giorno insieme ai colleghi infettivologi Marino Faccini (Ats Milano) e Marco Rizzi (ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo), ha lanciato un appello dal messaggio molto chiaro: «Fare presto».
La situazione è così grave? L'assessore alla Salute del Lazio, in un colloquio con Il Messaggero, lunedì ha affermato che il coprifuoco è necessario in tutta Italia.
«Credo che ci siano pochi dubbi su questo. Si tratta di una situazione che anticipa la possibilità di un lockdown, mi rendo conto. Però qualcosa bisogna fare».
C'è una coincidenza temporale tra l'impennata dei contagi e la riapertura delle scuole. Non è stato sbagliato ritenerle intoccabili e non accettare qualche compromesso?
«Si è voluto in tutti i modi dire che le scuole non c'entrano. Però questo non sta in piedi. Le scuole c'entrano. Poi, certo, c'entra anche il fatto che i ragazzi si ritrovano prima e dopo la scuola, sul trasporto pubblico e nella socialità extrascolastica. La coincidenza temporale c'è con tutto quanto. Io sono stato l'unico a dire che andare alle urne, con questa situazione, non fosse una grande idea».
Non sarebbe il caso di resettare tutto? Il governo potrebbe fare un patto con i cittadini, con un lockdown di due settimane, per abbassare drasticamente la curva dei contagi e ridurre la pressione sugli ospedali?
«Non escludo che tra quindici giorni possiamo essere a questo, ma lo sta dicendo lei, non io. Noi come infettivologi abbiamo chiesto di fare presto, sono sconcertato dal vedere che qualcuno sembra che stia frenando anche in Lombardia».
Secondo lei non stiamo sbagliando, in questa fase dell'epidemia, nell'inseguire anche gli asintomatici? Visto che le forze a disposizione non sono infinite, in questo modo il sistema sanitario non è tempestivo nell'eseguire i tamponi anche a chi, magari, ha già 38 di febbre.
«Abbia pazienza, quando è iniziata tutta questa faccenda, la nostra potenza di fuoco era di un numero limitato di tamponi al giorno, che facevamo esclusivamente solo ai più gravi. Tornare a farlo solo ai sintomatici significa arrendersi al fatto che non siamo riusciti a fare un solo passo in avanti. Tra quello che succedeva in marzo e quello che succede adesso ci sono differenze, abbiamo i tamponi rapidi antigenici e, a breve, la possibilità di fare i test salivari per il ritrovamento del virus. Stiamo parlando d'altro. Ovvio che se uno è sintomatico il tampone lo deve fare velocemente e prima degli altri».
Però il sistema di tracciamento ormai sembra inefficace.
«È anche giusto dire, purtroppo, che quando i nuovi infetti sono migliaia non c'è sistema di rilevazione che funzioni sui cosiddetti contatti. Le faccio solo un esempio: il caso di Mers che capitò in un ospedale sud-coreano, cinque anni fa. Una sola persona ne infettò 186 e fece sì che si dovessero seguire 16 mila contatti. E la Mers è meno efficiente nel diffondersi di Sars-CoV-2. Quando i contatti da seguire diventano decine di migliaia è impossibile arrivare ovunque. E non c'è sistema sanitario al mondo in grado di farlo. Forse solo la Cina».
Ma quindi cosa possiamo fare visto che qui si parla di 15mila casi al giorno?
«Dobbiamo lavorare a rete, tentare di coinvolgere in questo genere di attività le aziende, gli uffici pubblici, le scuole. Non accontentandoci di una situazione che ha già mostrato la corda con migliaia di persone in fila per i tamponi. Altrimenti, se non riusciamo a organizzarci, si va per forza per scorciatoie. E la scorciatoia più semplice è sempre il lockdwon. Io però sto paventando questa possibilità, non la sto caldeggiando, voglio essere chiaro. Ma quando non riesci a fare altro, allora chiudi».
Come possiamo evitare il lockdown?
«Bisogna delimitare i focolai in due modi. Uno: riducendo le occasioni di infezione, limitando così le possibilità di contagio. La parola coprifuoco è molto brutta ma è un provvedimento razionale da questo punto di vista. Secondo modo: dobbiamo ricorrere all'allargamento a rete dell'accertamento il più precoce possibile delle nuove infezioni».
Questo lo possiamo ottenere solo con i tamponi rapidi.
«Assolutamente sì. Guardi la Slovacchia: ha deciso di fare cinque milioni di tamponi rapidi».