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Data: 03/09/2019
Testata Giornalistica: IL CENTRO
    IL CENTRO

La rinuncia di Di Maio. E Conte si appella ai 5S. Oggi la parola a Rousseau. Il premier si rivolge agli attivisti: «Opportunità unica per il Paese che vogliamo». E il capo politico desiste: «Nessun vice»

Per il Colle la linea resta «esecutivo o urne»


Giuseppe Conte si rivolge direttamente ai militanti del Movimento Cinquestelle e al Pd: alla vigilia del voto sulla piattaforma Rousseau a cui sono appese le sorti del nuovo governo, il premier incaricato lancia un appello dal suo studio a Palazzo Chigi e rivendica la volontà di un esecutivo «forte» di cui sarà «il primo responsabile: basta perplessità, non teniamo le idee nel cassetto. È una grande opportunità». Una manciata di minuti dopo, in un altro video è Luigi Di Maio a spazzare via l'ipoteca che da giorni tiene impiccata la trattativa con i Dem dichiarando chiusa la partita dei vicepremier senza però schierarsi apertamente sul voto della consultazione online del Movimento. Parla per terzo Nicola Zingaretti e pur senza far venire meno l'usuale cautela dice di registrare «passi avanti» e si definisce «fiducioso e ottimista »: «Stiamo lavorando con pazienza e serietà per un governo di svolta vera, questo serve all'Italia, che riaccenda i motori dell'economia». Il verdetto degli elettori 5S arriverà nel tardo pomeriggio (le urne si chiuderanno alle 18) e il timore di quanti tifano a favore di un'intesa con i Dem è che siano i No a prevalere. Se dalla base arrivasse uno stop alla trattativa, portata avanti faticosamente in queste ore fra i 5S e il Pd, le elezioni anticipate tornerebbero a materializzarsi. Far saltare il negoziato sarebbe un errore, torna però a ripetere Beppe Grillo che interviene dalle p agine del Fatto dove parla di una «testa rivolta a Luigi (Di Maio, ndr) incazzata e stupefatta per l'incapacità di cogliere il bello intrinseco nel voler cambiare le cose». Il leader politico pentastellato deve confrontarsi da giorni con due visioni interne, una pronta all'intesa con il Nazareno e un'altra assai più scettica. Riunisce i suoi di buon mattino e poi in serata scandisce quelli che reputa i successi finora incassati, dall'indicazione di Conte a premier a quella dello stop ai vicepremier, scaricando sui futuri alleati i rallentamenti nella trattativa. Se tutto filerà liscio e dalla rete arriverà l'atteso via libera a un nuovo governo, il presidente del Consiglio incaricato potrebbe sciogliere la riserva già domani sera o più probabilmente mercoledì domattina presentando la lista dei ministri al Capo dello Stato. Il giuramento quindi potrebbe consumarsi nella stessa giornata mentre il dibattito alle Camere per la fiducia dovrebbe tenersi fra la fine di questa settimana e i primi giorni di quella successiva. E c'è già chi fa i conti dei numeri a favore dell'ipotetica maggioranza: come sempre, a preoccupare è il pallottoliere del Senato dove occorrono sulla carta 161 voti favorevoli. «Mi hanno contattato senatori del M5s dicendomi che loro e altri senatori e deputati M5s non vogliono votare la fiducia a questo governo Conte e sono pronti a dire No se gli garantiamo un seggio», è la provocazione del vicesegretario della Lega Andrea Crippa. Scenario smentito dal Movimento che definisce affermazioni simili come «infondate» ma che fanno prendere le distanze, ufficialmente, anche al capogruppo leghista a Palazzo Madama Massimiliano Romeo. Anche perché proprio contro il gioco delle «poltrone » si scaglia ancora una volta Matteo Salvini: «è uno spettacolo disgustoso da vecchio regime. Sono orgoglioso che la Lega non faccia parte di questo teatrino», dice il Capitano. Riempire le caselle del nuovo Esecutivo giallorosso è comunque un lavoro, come sempre, che richiede tempo e sforzi incessanti per trovare le giuste alchimie fra le forze politiche. A questo sta lavorando il premier a Palazzo Chigi, insieme alla messa a punto del programma invocato da tutti i protagonisti come centrale rispetto agli incarichi. E di cui sono stati chiamati a discutere direttamente da Conte i capigruppo 5S e Pd (e poi in serata quelli di LeU). Le parole d'ordine sono quelle evocate nei giorni scorsi e tracciano lo scheletro della prossima manovra: stop all'Iva, salario minimo orario, taglio del cuneo fiscale e sostegno alle famiglie.

Per il Colle la linea resta «esecutivo o urne»

La consultazione su Rousseau attiene a logiche politiche interne ai partiti. Che Sergio Mattarella rispetta interamente. Quindi, qualora il voto della base dei Cinque stelle fosse negativo, per il Quirinale non cambierebbe niente rispetto ad una linea già da tempo tracciata. Un eventuale «no» all'intesa non potrebbe galleggiare nel web. Ci sarebbe certamente bisogno di un ritorno al Colle - del leader Luigi Di Maio? Dei capigruppo M5s? O del premier incaricato? - per una comunicazione che
formalizzi senza ambiguità la fine del tentativo guidato da Giuseppe Conte. Sin dall'inizio di questa crisi estiva il Capo dello Stato aveva fatto capire che non c'era tempo da perdere e che la crisi sarebbe stata decisa con la massima attenzione ai passaggi costituzionali. Mattarella ha inoltre dettato un'agenda stretta, forse memore degli oltre 3 mesi che sono serviti per la nascita del governo con la Lega. Quando le dinamiche politiche si fanno complesse ci pensa il Quirinale a riportare l'ordine semplice dei percorsi formali che garantiscono chiarezza. Si tratta di ragionamenti, è bene premetterlo, al momento del tutto ipotetici visto che almeno i due partiti in campo stanno progredendo nella trattative. Ma in caso di no dalla piattaforma Rousseau, il Capo dello Stato, una volta che gli sarà formalizzato il fallimento del tentativo di formare un esecutivo politico, procederà alla formazione di un governo di garanzia per portare ordinatamente il Paese alle elezioni anticipate.


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